Poiché a pensar male si fa peccato, ma ogni tanto ci si azzecca, viene il sospetto che alla base della scelta linguistica di tradurre pratiche didattiche interessanti, sensate e potenzialmente efficaci in formule che l’anglo-pedagoghese rende astruse ed esoteriche ci sia uno stravagante e non so quanto consapevole presupposto: che l’uso dell’inglese sia la condizione necessaria e sufficiente per rendere automaticamente qualsiasi proposta più moderna, attraente, realizzabile e operativa.
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